martedì 21 maggio 2013

SCHOPENHAUER







La vita secondo Schopenhauer è soltanto sofferenza e dolore, perché l’uomo è sempre soggetto a questa volontà infinita. Volere significa infatti desiderare qualcosa, e desiderare significa trovarsi in un continuo stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio quindi è mancanza, vuoto, e quindi dolore. E poiché nell’uomo la volontà è più cosciente rispetto agli altri esseri, egli stesso risulta essere il più bisognoso e mancante, destinato a non trovare mai un appagamento duraturo. Quello che gli uomini chiamano godimento (fisico) o gioia (psichica) non è altro che una momentanea cessazione del dolore: perché ci sia piacere, infatti, bisogna per forza che ci sia uno stato precedente di dolore. Il dolore, al contrario, non può essere visto come cessazione di piacere: un individuo può sperimentare molti dolori senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri. ( “non v’è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose!”). Per questo il dolore è uno stato primario e permanente, mentre il piacere è solo una funzione derivata del dolore, una momentanea cessazione di esso. Accanto al dolore, che è duraturo, e al piacere, che è momentaneo, c’è la noia, la quale secondo Schopenhauer subentra non appena l’uomo raggiunge il piacere, perché una volta ottenuto ciò che vogliamo, sparisce l’attrazione, e cerchiamo subito qualcos’altro. La vita umana, quindi, è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso il fugace e illusorio momento del piacere e della gioia. 

LA SOFFERENZA UNIVERSALE
Tale dolore di cui ci parla Schopenhauer non riguarda solo l’uomo, ma investe tutta la natura, in quanto la volontà di vivere si manifesta in tutte le cose. Tutto soffre: dal fiore che appassisce per mancanza di acqua all’animale ferito, dal bimbo che nasce al vecchio che muore. E se l’uomo soffre di più è solo perché è più intelligente e quindi destinato a patire maggiormente l’insoddisfazione dei propri desideri. “più intelligenza avrai, più soffrirai”, “chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore”. Il filosofo introduce una delle più radicali forme di pessimismo cosmico, secondo il quale il male non è solo nel mondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende. L’unico fine della natura sembra soltanto quello di continuare la vita e, con essa, il dolore.

L'ILLUSIONE DELL'AMORE
L’amore è soltanto una forza potente che serve a procreare generando altro dolore, è un inganno che porta soltanto sofferenza. Secondo Schopenhauer non c’è amore senza sessualità, infatti scrive “ogni innamoramento, per quanto puro voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale”, “se la passione del Petrarca fosse stata appagata il suo canto sarebbe ammutolito”. E’ per questo che l’amore viene inconsapevolmente avvertito come peccato e vergogna, e inoltre è responsabile del maggiore dei delitti, cioè della procreazione di altre creature destinate a soffrire. Schopenhauer afferma che “l’amore è nient’altro che due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara”.

LIBERAZIONE DAL DOLORE
Schopenhauer è contro il suicidio, perché secondo lui il suicidio non è una negazione della volontà, ma afferma fortemente la volontà stessa: chi si suicida, secondo il filosofo, non è perché non ama la vita, ma semplicemente perché non ama la vita che gli è toccata e ne vorrebbe una diversa. Inoltre si distacca dal suicidio perché non libera gli uomini dalla sofferenza, la quale muore in un individuo ma rinasce in mille altri. I modi per liberarsi da questo dolore sono tre:

L'ARTE
L’opera d’arte si presenta come una dimensione esistenziale nella quale l’uomo sospende la propria volontà, contemplandola e guardandola in modo disinteressato. L’artista non rappresenta il particolare, ma l’universalità, manifestando la volontà di vivere. L’uomo riesce perciò a guardarla dall’esterno, senza entrarvi. Per questo suo carattere contemplativo, l’arte sottrae l’individuo dalla sua catena di bisogni e desideri quotidiani, purificando l’uomo, l’arte è catartica (purificatoria, liberatoria): grazie ad essa l’uomo, più che vivere, contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Tra le molte arti un ruolo di rilievo è quello della tragedia, perché ci mostra senza veli il mondo così come è, assolutamente irrazionale. La tragedia ci restituisce tutto l’orrore della vita e ne restiamo attratti perché scopriamo la verità sulla vita senza nessuna giustificazione. Un’altra arte molto importante è la musica, la quale apparentemente non ha da mostrarci immagini concrete, ma in essa possiamo riscoprire tutta la varietà dei sentimenti umani. La musica ci emoziona provocando cambiamenti d’umore, essa è il suono vivente della volontà di vivere, è pura perché non ha nessun riferimento materiale. L’arte quindi è liberatrice perché ci allontana dai bisogni e dai desideri, provocandoci piacere. Essa però è momentanea e parziale, è solo un gioco, un breve incantesimo, è solo un conforto per la vita.

L'ETICA DELLA PIETà
A differenza della contemplazione estetica, l’etica implica un impegno nel mondo a favore del prossimo, nel tentativo di superare l’egoismo e la lotta degli individui tra loro. Schopenhauer sostiene (contro Kant) che l’etica non sgorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un’esperienza vissuta, ovvero da un sentimento di pietà o compassione verso il prossimo, attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non basta sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono, bisogna sperimentare questo dolore. Non basta parlare del male degli altri, ma bisogna condividerlo e compatire l’altro, cioè soffrire insieme.
La morale si concretizza in due virtù cardinali:
1)     la giustizia: che consiste nel non fare del male a nessun altro essere vivente, rispettare la vita in ogni sua manifestazione, non prevaricare, non strumentalizzare, astenersi da ogni tipo di ingiustizia per non creare altra sofferenza;
2)     la carità (o agàpe): che consiste non solo nel non fare del male, ma nel fare del bene al prossimo, è l’unico amore disinteressato e autentico, è pietà. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel fare propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti, e nell’assumere su di sé tutti il dolore cosmico. 

L'ASCESI
Mentre la morale rimane sempre all’interno della vita e presuppone quindi un qualche attaccamento a essa, l’ascesi consiste in una liberazione non solo dalle ingiustizie, ma dalla stessa volontà di vivere. L’ascesi consiste nell’astenersi da tutte le forme di volontà, da tutte le forme di desiderio, consiste nel non seguire più gli impulsi del corpo, ma averne un perfetto controllo. Il primo gradino è quello della castità, cioè dell’astenersi dalla vita sessuale evitando così di generare altri esseri che soffrono, il secondo gradino è quello del digiuno, e poi quello di ogni tipo di desiderio di potere, ricchezza, notorietà. L’ascesi è la rinuncia di ogni tipo di bene materiale, che ci porta verso uno stadio finale, chiamato Nirvana. Questo stadio consiste in una negazione del mondo, in un’accettazione del nulla, consiste nell’essere in uno stato di completa pace e serenità, non avere più nessun attaccamento con il mondo. Mentre nei mistici del cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, cioè con una visione di Dio, nel misticismo di Schopenhauer (che riprende dal Buddhismo) non c’è nessuna visione di Dio, ma solo un’accettazione del nulla.

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