La vita secondo Schopenhauer è soltanto sofferenza e dolore, perché
l’uomo è sempre soggetto a questa volontà infinita. Volere significa infatti desiderare qualcosa, e desiderare
significa trovarsi in un continuo stato
di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio quindi è mancanza, vuoto, e
quindi dolore. E poiché nell’uomo la
volontà è più cosciente rispetto agli altri esseri, egli stesso risulta essere
il più bisognoso e mancante, destinato a non trovare mai un appagamento
duraturo. Quello che gli uomini chiamano godimento
(fisico) o gioia (psichica) non è altro che una momentanea cessazione del dolore: perché ci sia piacere, infatti,
bisogna per forza che ci sia uno stato precedente di dolore. Il dolore, al
contrario, non può essere visto come cessazione di piacere: un individuo può
sperimentare molti dolori senza che questi siano preceduti da altrettanti
piaceri. ( “non v’è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose!”).
Per questo il dolore è uno stato primario e permanente, mentre il piacere è solo una funzione derivata del dolore, una momentanea
cessazione di esso. Accanto al dolore, che è duraturo, e al piacere, che è
momentaneo, c’è la noia, la quale
secondo Schopenhauer subentra non appena
l’uomo raggiunge il piacere, perché una volta ottenuto ciò che vogliamo,
sparisce l’attrazione, e cerchiamo subito qualcos’altro. La vita umana, quindi, è come un pendolo che oscilla incessantemente
tra dolore e noia, passando attraverso il fugace e illusorio momento del
piacere e della gioia.
LA SOFFERENZA UNIVERSALE
LA SOFFERENZA UNIVERSALE
Tale dolore di cui ci parla Schopenhauer
non riguarda solo l’uomo, ma investe
tutta la natura, in quanto la volontà di vivere si manifesta in tutte le
cose. Tutto soffre: dal fiore che
appassisce per mancanza di acqua all’animale ferito, dal bimbo che nasce al
vecchio che muore. E se l’uomo soffre di
più è solo perché è più intelligente e quindi destinato a patire
maggiormente l’insoddisfazione dei propri desideri. “più intelligenza avrai,
più soffrirai”, “chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore”. Il filosofo introduce una delle più
radicali forme di pessimismo cosmico, secondo il quale il male non è solo
nel mondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende. L’unico fine della
natura sembra soltanto quello di continuare la vita e, con essa, il dolore.
L'ILLUSIONE DELL'AMORE
L'ILLUSIONE DELL'AMORE
L’amore è soltanto una forza potente che serve a
procreare generando altro dolore, è un
inganno che porta soltanto sofferenza. Secondo Schopenhauer non c’è amore senza sessualità, infatti
scrive “ogni innamoramento, per quanto puro voglia apparire, affonda sempre le
sue radici nell’istinto sessuale”, “se la passione del Petrarca fosse stata
appagata il suo canto sarebbe ammutolito”. E’
per questo che l’amore viene inconsapevolmente avvertito come peccato e
vergogna, e inoltre è responsabile del maggiore dei delitti, cioè della procreazione di altre creature destinate a
soffrire. Schopenhauer afferma che “l’amore è nient’altro che due infelicità che si incontrano, due
infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara”.
LIBERAZIONE DAL DOLORE
LIBERAZIONE DAL DOLORE
Schopenhauer è contro il suicidio, perché
secondo lui il suicidio non è una negazione della volontà, ma afferma fortemente la volontà stessa:
chi si suicida, secondo il filosofo, non è perché non ama la vita, ma
semplicemente perché non ama la vita che gli è toccata e ne vorrebbe una
diversa. Inoltre si distacca dal
suicidio perché non libera gli uomini dalla sofferenza, la quale muore in un individuo ma rinasce in mille
altri. I modi per liberarsi da questo dolore sono tre:
L'ARTE
L'ARTE
L’opera d’arte si
presenta come una dimensione esistenziale nella quale l’uomo sospende la
propria volontà, contemplandola e guardandola in modo disinteressato. L’artista
non rappresenta il particolare, ma l’universalità, manifestando la volontà di
vivere. L’uomo riesce perciò a guardarla
dall’esterno, senza entrarvi. Per questo suo carattere contemplativo,
l’arte sottrae l’individuo dalla sua catena di bisogni e desideri quotidiani,
purificando l’uomo, l’arte è catartica (purificatoria, liberatoria): grazie ad
essa l’uomo, più che vivere, contempla la vita, elevandosi al di sopra
della volontà, del dolore e del tempo. Tra le molte arti un ruolo di
rilievo è quello della tragedia,
perché ci mostra senza veli il mondo così come è, assolutamente irrazionale. La
tragedia ci restituisce tutto l’orrore della vita e ne restiamo attratti perché
scopriamo la verità sulla vita senza
nessuna giustificazione. Un’altra arte molto importante è la musica, la quale apparentemente non
ha da mostrarci immagini concrete, ma in essa possiamo riscoprire tutta la varietà dei sentimenti umani.
La musica ci emoziona provocando cambiamenti d’umore, essa è il suono vivente
della volontà di vivere, è pura perché
non ha nessun riferimento materiale. L’arte
quindi è liberatrice perché ci allontana dai bisogni e dai desideri,
provocandoci piacere. Essa però è momentanea
e parziale, è solo un gioco, un breve incantesimo, è solo un conforto per
la vita.
L'ETICA DELLA PIETà
L'ETICA DELLA PIETà
A differenza della
contemplazione estetica, l’etica
implica un impegno nel mondo a favore
del prossimo, nel tentativo di superare l’egoismo e la lotta degli
individui tra loro. Schopenhauer sostiene (contro Kant) che l’etica non sgorga
da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un’esperienza vissuta,
ovvero da un sentimento di pietà o
compassione verso il prossimo, attraverso cui avvertiamo come nostre le
sofferenze degli altri. Non basta sapere che la vita è dolore e che tutti
soffrono, bisogna sperimentare questo dolore. Non basta parlare del male degli altri, ma bisogna condividerlo e
compatire l’altro, cioè soffrire insieme.
La morale si concretizza
in due virtù cardinali:
1) la giustizia: che consiste nel non fare del
male a nessun altro essere vivente, rispettare la vita in ogni sua
manifestazione, non prevaricare, non strumentalizzare, astenersi da ogni tipo
di ingiustizia per non creare altra sofferenza;
2) la carità (o agàpe): che consiste non solo nel non fare del male, ma nel fare del bene al prossimo, è l’unico amore disinteressato e autentico, è
pietà. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel fare propria la
sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti, e nell’assumere su di sé tutti
il dolore cosmico.
L'ASCESI
L'ASCESI
Mentre la morale rimane
sempre all’interno della vita e presuppone quindi un qualche attaccamento a
essa, l’ascesi consiste in una
liberazione non solo dalle ingiustizie, ma dalla stessa volontà di vivere.
L’ascesi consiste nell’astenersi da tutte le forme di volontà, da tutte le
forme di desiderio, consiste nel non seguire più gli impulsi del corpo, ma
averne un perfetto controllo. Il
primo gradino è quello della castità,
cioè dell’astenersi dalla vita sessuale evitando così di generare altri esseri
che soffrono, il secondo gradino è quello del digiuno, e poi quello di ogni tipo di desiderio di potere, ricchezza, notorietà. L’ascesi è la rinuncia di ogni tipo di bene materiale, che ci porta
verso uno stadio finale, chiamato Nirvana. Questo stadio consiste in una
negazione del mondo, in un’accettazione del nulla, consiste nell’essere in uno stato di completa pace e serenità, non
avere più nessun attaccamento con il mondo. Mentre nei mistici del
cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, cioè con una visione di Dio,
nel misticismo di Schopenhauer (che riprende dal Buddhismo) non c’è nessuna
visione di Dio, ma solo un’accettazione
del nulla.
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